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San Giuseppe Lavoratore
a cura di S. E. il Cardinale Gianfranco Ravasi/

La famiglia di Gesù non era povera in senso stretto, ridotta alla miseria degli schiavi o all’aleatorietà economica dei lavoranti a giornata, ma neppure era da ricondurre alla nostra borghesia commerciale, piccola o media che sia. Si trattava di un tenore di vita decoroso ma modesto, legato per il contadino alle mutazioni climatiche e al mercato e per il falegname-carpentiere-artigiano alle commissioni, all’incremento edilizio e all’inflazione, per non parlare delle tassazioni gravose, sia civili sia religiose.
In questa luce la famiglia di Gesù è da ricondurre alla maggioranza dei lavoratori dipendenti attuali e a certi ambiti artigiani solo familiari e ristretti. I dati evangelici sulla sua vita e sulla sua predicazione lo riportano costantemente a questo orizzonte semplice e modesto.
I centri che egli visiterà durante la sua predicazione galilaica saranno appunto quelli popolati da questa classe: Nazaret, Cana, Nain, Corazin, Cafarnao. Il suo itinerario non comprenderà mai Sefforis o Tiberiade, città ellenistiche e «residenziali». Anche questa «modestia» diventa, allora, un segno dell’incarnazione che colloca Dio nella quotidianità semplice.
Il cristiano sarà invitato a lavorare con le proprie mani, come farà anche Paolo che ai Tessalonicesi scriverà: «Voi ricordate, infatti, o fratelli, le nostre fatiche e i nostri stenti: lavorando giorno e notte per non essere di peso a nessuno di voi, vi abbiamo predicato il vangelo di Dio» (1Tessalonicesi 2,9), ribadendo comunque che «se uno non vuole lavorare, neppure mangi» (2Tessalonicesi 3,10); un impegno condotto con fedeltà, ma senza la frenesia dell’accumulo, come suggerirà Gesù stesso nel Discorso della Montagna: “Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete […]”.

 

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