“I Bambini e la guerra”. Relazione di Mons. Renzo Giuliano

La Relazione di Mons. Giuliano nel convegno "I Bambini e la guerra" organizzato dall'On. Simona Loizzo presso la Camera dei Deputati alla presenza del Presidente Lorenzo Fontana.

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a cura della Redazione/

Pubblichiamo a seguire la relazione di Mons. Renzo Giuliano nel corso del convegno dal titolo “I Bambini e la Guerra”, organizzato dall’On. Simona Loizzo che si è tenuto a Roma nella Sala della Regina, Camera dei Deputati alla presenza del Presidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana. Una relazione – afferma Fabio Gallo – quella di Mons. Giuliano, già segretario particolare del Vicario del Santo Padre Cardinal Poletti, oggi Parroco della Basilica San Marco Evangelista al Campidoglio e per 20 anni alla guida della Chiesa delle Celebrazioni Ufficiali della Repubblica Italiana, quanto mai opportuna in tempo di Pasqua, che ha indagato nei Vangeli il senso che Gesù di Nazareth ha dato dell’infanzia e ha inteso mostrare come le stesse religioni si pongono innanzi all’unanimità non con l’arroganza del potere di chi fonda guerre, ma con la semplicità, umiltà e candore dei bambini”.

Sala della Regina, Camera dei Deputati: da Sx il Presidente Fontana, l’artista Patrizia Lo Feudo, il Deputato Simona Loizzo, Mons. Renzo Giuliano e la referente di Save the Children Fosca Nomis

“L’ottica del Vangelo cristiano unisce in perfetta sintonia due estremi che parrebbero inconciliabili; la salvezza ed il bambino od i bambini. Vado subito con il pensiero al brano più semplice, piu’ amato e piu’ conosciuto del Vangelo riguardo i bambini, il brano del “lasciate che i bambini vengano a me”.

Mc 10,13: Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. 14 Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. 15 In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». 16 E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

L’attenzione alla vita dei bambini è essenziale per il Regno di Dio e per potere entrare in esso. Nell’ottica di fede cristiana che professa l’Incarnazione sappiamo che il Regno di Dio ha già inizio nella nostra storia dove deve compiersi l’impegno di una esemplarità della vita religiosa. Per tale motivo, applicando lo stesso parametro, la vita dei bambini è altrettanto fondamentale per il regno di questo mondo umano. La pagina biblica dice ancor di più: ai bambini appartiene questo Regno, loro sono il parametro della vita stessa, dei valori che bisogna coltivare, del cuore che bisogna umanamente mostrare. Pare quindi che essi siano i depositari dell’autenticità di quanto tutti siamo chiamati a vivere, come scoperta del fatto esistenziale della relazionalità, secondo verità. Il verbo “appartiene” dice che è consustanziale a loro, è depositato in loro in modo privilegiato e preminente il segreto dei valori più alti, più autentici e nativi di ogni uomo e di quell’uomo che deve svilupparsi nel corso di una intera esistenza: una crescita che rafforza e non rimuove quei valori vitali! E’ esattamente l’appartenenza che non chiude in un egoismo, quanto la fa vivere in quel punto focale di aperta vita sorgiva in cui si esprime nascendo, avendo ricevuto il dono infinito della vita umana che è aperta a mantenere l’insondabile forza del mistero che ci accomuna.

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Don Renzo Giuliano Parroco Basilica S. Marco al Campidoglio

Potremmo chiederci se quell’appartenenza al parametro della vita stessa che si ha nei bambini si mantenga con l’evolversi dell’età, della conoscenza, delle scelte di libertà successive. Il brano evangelico non si riferisce ai bambini in età, ma agli adulti che sanno mantenere quella spinta autentica di vita che si possiede con il dono gratuito della vita stessa e che, pertanto, deve essere condizione imprescindibile al divenire discepoli di Cristo: “a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”.

Il “bambino” del Vangelo non è colui che mantiene o coltiva l’infantilismo; è chi conserva, accrescendolo, il legame con i doni di relazionalità, di figliolanza, di umanità profondamente percepita, di trascendenza, di mantenere sempre un futuro aperto, cioè di mantenersi nel luogo sorgivo di nascita di una sincera umanità. Un “bambino” forma sempre e comunque la gioia della vita, per sé e per gli altri, specie per la propria famiglia. La stessa dimensione del “gioco” dice tutto questo, esprime tutta la gratuità e la condivisione libera che ci deve appartenere, sganciata da ogni parte di interesse individuale o di predominio.

L’ambito religioso attira e sostiene tale dinamica esistenziale di vita, quando non è labile, di facciata o di privato interesse.

“Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite”. L’incontro con la fede e con la persona di Cristo, che è il Salvatore ed il Maestro delle Beatitudini, è possibile per i bambini. L’incontro con la salvezza o con il Salvatore non è prerogativa di adulti che credono di mettersi alla pari e soverchiare con una conoscenza mondana e con i propri umani poteri l’essere stesso.

Da Sx l’Artista Patrizia Lo Feudo, il Deputato Simona Loizzo, Mons. Renzo Giuliano e la Referente di Save The Children Fosca Nomis

Il Cardinale Carlo Maria Martini:

“Le religioni, nella loro povertà, hanno la ricchezza di un’aspirazione universale: tutte ricordano che c’è un destino comune dell’uomo, davanti agli altri uomini e di fronte a Dio. Nella loro debolezza esse hanno però energie sufficienti per parlare a tutti gli uomini ed indicare loro un cammino, senza temere la storia; possono farlo perché libere dai grandi interessi politici, strategici, economici che dominano ogni società. In questa libertà sta la loro forza. Il credente, infatti, per infondere forza non è necessario sia forte, per dare speranza non è necessario si senta sicuro di sé, per infondere letizia non è richiesto che si chiami fuori da ogni prova”.

(Messaggio al Meeting Uomini e religioni settembre 1993)

Le religioni “nella loro povertà … nella loro debolezza … il credente per infondere forza non è necessario sia forte …”. Ecco la fisionomia del bambino, del credente e del discepolo di Cristo! Le stesse religioni devono avere la forma del “bambino” evangelico.

“I discepolo li sgridavano (a quelli che presentavano i bambini) … non glielo impedite”: ancora gli stessi apostoli di Cristo pongono una forte resistenza e manifestano una mentalità non convertita al Vangelo, alla dinamica del Cristo che, incarnandosi, si fa bambino, che patisce, che bandisce ogni forma di violenza, tanto più di guerra, della guerra dei “grandi”. I “bambini” non sono quelli che poniamo romanticamente nel nostro pensiero!

L’evangelista usa il verbo “sgridare”, termine che viene in altro contesto per gli indemoniati. Ricordiamo quando Pietro viene “sgridato” da Cristo e viene apostrofato quale: “satana”!

Mc. 8, 33: “egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me, Satana”.

Mc 33-37: Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». 34 Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. 35 Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». 36 E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37 «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

I discepoli sono animati da desideri di grandezza, di supremazia, di gerarchia e Gesù li spiazza con il mettere al centro quel bambino del Vangelo con cui egli fa un tutt’uno, appunto abbracciandolo.

“Lasciate che i bambini vengano a me”: perché questo incontro fra Cristo ed i bambini?

Perché Cristo si definisce “Pace”. I piccoli del Vangelo sono esattamente coloro che sanno accogliere la pace, sanno viverla e costruirla, sanno renderla avvincente. Chi è che, guardando un bambino, non sente tenerezza, volontà di sincerità, di amore che si diffonde?

Gv. 14, 27: “Gesù disse ai suoi discepoli: vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”.

L’orrore di ogni guerra è misurato sui bambini in quanto sono essi la misura esistenziale della pace, della gioia di vivere, della speranza di poter crescere sanamente, ed il dolore è ancor più aumentato allorchè un bimbo viene a soffrire la violenza o le violenze.

Nel 1994, Anno Internazionale della Famiglia, il Santo Papa Giovanni Paolo II indirizza una Lettera ai bambini del mondo e chiede:

“Diamo ai bambini un futuro di pace! Ecco l’appello che rivolgo fiducioso agli uomini ed alle donne di buona volontà, invitando ciascuno ad aiutare i bambini a crescere in un clima di autentica pace. E’ un loro diritto, è un nostro dovere. …

Non ci sono soltanto bambini che subiscono la violenza delle guerre; non pochi fra loro sono costretti a diventarne protagonisti. In alcuni Paesi del mondo si è giunti al punto di obbligare ragazzi e ragazze, anche giovanissimi, a prestare servizio nelle formazioni militari delle parti in lotta. Lusingati dalla promessa di cibo e di istruzione scolastica, essi vengono confinati in accampamenti isolati, dove patiscono fame e maltrattamenti e dove sono istigati ad uccidere perfino persone del loro stesso villaggio. Sovente sono mandati in avanscoperta per ripulire i campi minati. Evidentemente la loro vita vale ben poco per chi così se ne serve!. … È difficile sperare che i bambini sappiano un giorno costruire un mondo migliore, quando è mancato un preciso impegno per la loro educazione alla pace. Essi hanno bisogno di «imparare la pace»: è un loro diritto che non può essere disatteso. … La pace è dono di Dio; ma dipende dagli uomini accoglierlo per costruire un mondo di pace. Essi lo potranno solo se avranno la semplicità di cuore dei bambini. È questo uno degli aspetti più profondi e paradossali dell’annuncio cristiano: farsi piccoli, prima che un’esigenza morale, è una dimensione del mistero della Incarnazione”.

Guardando alla vita dei bambini la suggestione prima è sempre quella di chiedersi: quale sarà il loro futuro? Essi sono la generazione che avanza!

6 dicembre 2001, Cardinale Carlo Maria Martini, Discorso di Sant’Ambrogio:

“In fondo, come diceva Bonhoeffer, “per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in questo affare, ma: quale potrà essere la vita per la generazione che viene? Solo da questa domanda storicamente responsabile possono nascere soluzioni feconde” (Resistenza e Resa, Milano, p. 64). Ciò che dunque urge è dirci che se non avviene un cambio radicale nella scala dei valori, se non vengono messi al primo posto la pace, la solidarietà, la mutua convivenza, l’accoglienza reciproca, l’ascolto e la stima dell’altro, l’accettazione, il perdono, la riconciliazione delle differenze, il dialogo fraterno e quello politico e diplomatico, mentre vengono contemporaneamente messe al bando le rappresaglie della guerra, se non vengono disarmate non solo le mani ma anche le coscienze e i cuori, noi avremo sempre a che fare con nuove forme di violenza e anche di terrorismo. Riusciremo magari a spegnerle per un momento, ma per vederle poi risorgere impietosamente altrove”.

Vi sono alcuni essenziali strumenti per un’educazione alla pace ed il primo è sicuramente quell’attrazione di bellezza che ogni vita di bambino sa esprimere e che viene ad esprimersi nell’arte. I bambini, nel loro primo e forte linguaggio, disegnano, colorano, esprimono la vita che li circonda ed a cui si aprono con occhi intensi!

L’arte diventa una fonte primaria di educazione e di formazione ed investe tutta la vita e non unicamente un processo educativo scolastico.

Lo psicologo contemporaneo Howard Gardner è conosciuto anche per un bellissimo libro dal titolo “Sapere per comprendere. Discipline di studio e discipline della mente” Gardner inizia con una frase semplice, ma dalla portata enorme: “L’educazione non è un processo esclusivamente scolastico”. E più avanti scrive che “… l’educazione deveruotare attorno a tre componenti estremamente importanti […] verità, bellezza emorale” che Gardner trasla rispettivamente nelle discipline della scienza, dell’arte e della storia. Egli parla di una educazione per tutti e di questa educazione che sappia formare persone capaci di comprendere e migliorare il mondo; ciò può avvenire solamente attraverso lo studio del vero, del bello e del bene, i tre “trascendentali” classici che ineriscono alla cultura umana. Si contrappongono il falso, il brutto ed il male! Per “tutti” indica l’implicanza anche dei bambini in questa educazione che deve riguardare la quotidianità e non tanto temi da trattare in situazioni occasionali; decisivo che i genitori e gli educatori tengano questa linea di costante attenzione e dialogo su questi “trascendentali”, sia nel loro lato positivo che anche in quello negativo. I bambini sono in grado di percepire la bellezza e quindi il desiderio di scoperta e la loro stessa sensibilità dovranno convincere gli adulti a parlare con loro di temi o situazioni di vita che maturino in loro quella profondità che in loro esiste; mi pare di dovere dire di più, abituare i bambini a quella complessità del mondo e del proprio io, grazie all’arte, è un dovere al fine di non farli trovare incapaci, crescendo, di esprimere desideri e di fare domande. I bambini, conferma lo studio di Gardner, hanno un animo profondo ed il loro impulso naturale è quello di indagare quella profondità; l’adulto dovrà aiutarli a formarsi con un linguaggio adatto al loro livello di comprensione.

“Insomma, ai bambini non piacciono solo i tamburi perché piace fare ‘fracasso’, piace anche il suono melodioso di un violino; non vogliono canticchiare solo canzoncine-filastrocche, ma anche Mozart e i Queen; non guardano solo Peppa Pig, ma anche il grande cinema di animazione di Miyazaki; non ascoltano con attenzione solo le storie di “Topo Tip”, ma anche i meravigliosi libri introspettivi di Leo Lionni; non c’è solo il parco divertimenti, c’è anche l’incanto della natura”

In questa educazione, direi, in questa serietà di dialogo e di impostazione educativa, la pace non sarà mai uno slogan!

Un simile convincimento caratterizza la conoscenza dei cristiani che, nel nostro mondo occidentale in particolare, sono impegnati a testimoniare, o meglio a fare rivivere, una “speranza trascendente” di cui è povero (espressione del Card. Martini nel succitato Discorso).

Il filosofo veronese Umberto Curi ci ricorda, riprendendo il discorso sopra avviato, che il concetto di bellezza è una sintesi inscindibile di vero, bene e bello: è il “to xalòn” greco, e non ci si può ridurre a concepire la bellezza, come facciamo oggi, solo in chiave estetica.

La teologia cattolica, su questo versante, ha molto da dire, specie a partire dal secolo scorso con la proverbiale opera teologica di Hans Urs Von Balthasar (1905-1988) che imposta tutta la sua opera a partire primariamente dal concetto di Bellezza.

Mons. Renzo Giuliano Parroco Basilica San Marco Evangelista al Campidoglio

La bellezza è un punto di partenza e non di arrivo per la teologia cattolica.

“La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è piú amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo piú credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è piú capace di pregare e, presto, nemmeno di amare. Il secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo gli rimangono tra le braccia… le vesti di Elena si dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si dileguano con lui”, Faust II,atto III); il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché però non c’è piú nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di amore. Ma ciò di cui l’uomo non è piú capace, ciò per cui è diventato impotente, non può piú, proprio perché si sottrae alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di un silenzio di morte.

In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso –, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è piú in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto piú eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede piú capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda piú nessuno e la stessa conclusione non conclude piú.

E se è cosí dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia piú che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce piú a cogliere il bello” (H. U. von Balthasar, Gloria,Jaca Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12).

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Mons. Renzo Giuliano Parroco della Basilica di San Marco Evangelista

Bellezza è la nostra parola iniziale ed è inizialmente percepibile quindi là ove la stessa vita si genera e cresce nei suoi primi momenti e dove si percepisce negli occhi vividi e luminosi dei bambini, iniziali depositari di questa esperienza umana di pace esistenziale. Bellezza pertanto si coniuga con il vissuto del “dono” come progetto di accoglienza della vita. I bambini certamente sono un dono, sono amati come un dono di cui essere responsabili, accrescono negli adulti il senso della tenerezza del dono a cui bisogna essere fedeli, si affidano agli adulti, in primissimo luogo al padre ed alla madre, per mantenersi nell’essere un dono; accrescono la relazionalità del dono.

La forma propria della bellezza è quella del dono, ed è la forma di cui i bambini hanno il pieno contenuto e che trasmettono intorno.

Il terreno fertile della pace, insegnata agli adulti, è esattamente qui; non una pace assenza di guerra, quanto una pienezza concreta di vita relazionale ben visibile e testimoniante nel bambini e nel loro sguardo aperto al futuro.

In questo contesto così gravido di situazione vitale, la salvezza del paradigma dei bambini acquisisce tutta la sua congruità. Non diamo aiuti ai bambini, quanto doniamo loro un’educazione alla bellezza di cui primariamente sono in possesso ed espliciteremo le forze vive della pace per loro. Comprendiamo pertanto l’invito del Cristo: “Lasciate che i bambini vengano a me”, Lui che si è fatto “dono” con la sua morte e la sua risurrezione.

Il messaggio si rivolge ad ogni ambiente. Siamo oggi in un luogo Istituzionale politico e ricordiamo che la non-relazionalità o l’individualismo, oppure l’utilitarismo falsificano la stessa democrazia.

L’esperienza estetica dell’autentica Bellezza, così intesa, ci fa pensosi su una domanda: è questo realmente il migliore dei mondi possibili?

La sfida si apre da qui e da quel mondo di bellezza-dono della vita di tutti i bambini del mondo; ad una sua risposta positiva la pace avrà la sua possibilità di realizzarsi perché si plasma l’armonia tra l’interiore e l’esteriore, in quello spazio che non dà scissione nei bambini.

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