Omelia per gli ottanta anni

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S.E. l’Arcivescovo Mons. Giuseppe Mani

a cura di S.E. l’Arcivescovo Mons. Giuseppe Mani/

Siamo qui a celebrare il solstizio d’estate, l’inizio di una nuova stagione e anche per dirvi che: è bello avere ottanta anni. Lo auguro di cuore a tutti. Si vede proprio che siamo fatti per crescere.

 Quando a Giovanni Paolo II chiesero se avesse un diario personale disse che non aveva tempo da perdere, è stato così anche per me. Ho però un archivio. “Il mio archivio è Cristo” dice Ignazio d’Antiochia e mi ci ritrovo perfettamente. Questi anni sono stati una continua rivelazione di Cristo. Mi ha parlato, ha scritto il libro della mia vita.

Cristo è entusiasmo, gioia , allegria, generosità. Me lo hanno detto gli oltre quattrocento giovani che ho accompagnato al Sacerdozio. Penetrare  nel segreto del loro rapporto con Cristo è sicuramente la più bella avventura di un prete.

Cristo è generosità, disinteresse, forza, dinamismo. Me lo hanno detto i giovani militari che ho accompagnato nei miei sette anni soprattutto nelle operazioni di pace nei paesi più poveri. Li ho visti pronti a privarsi di tutto , anche del loro stipendio per soccorrere le famiglie nella miseria. IL mondo militare mi ha insegnato tanto “militia est vita hominis super terram”. Ho imparato che quando il nemico spara si sta in trincea per poi   avanzare e si conquistare terreno ; nella vita di vescovo, fucilate non mancano.

La famiglie di Roma  che papa Giovanni Paolo  mi affidò  ,“Ti faccio vescovo per le famiglie”, mi hanno insegnato il sano realismo della vita. Mi hanno insegnato che Gesù si è davvero incarnato e che Dio non si trova in cima all’ideale ma in fondo al reale, che la famiglia è la cellula della vita e che è vero soltanto quello che è familiare. Ho avuto la gioia di essere stato il promotore della causa della prima famiglia beatificata e son convinto che una delle novità del terzo millennio saranno le famiglie sante

Cristo è totale abbandono al Padre, è fede pura. Me lo hanno detto, prima i poveri delle borgate di  Roma e poi le incantevoli persone  della Sardegna che mi hanno ricreato, evangelizzato, ringiovanito con la loro fede. Mi hanno educato  con la loro sobrietà, garbo e compostezza.

Cristo è tutto. Me lo ha detto la storia travagliata ma meravigliosa di questi ottanta anni, sicuramente i più difficili dell’umanità. Ero bambino quando imperava il fascismo. Tutti i miei compagni erano “Figli della lupa”. Mio padre non ha mai permesso che mi vestissi da piccolo soldato. L’unica uniforme che ho indossato era quella di chierichetto. Ricordo la fine del fascismo.

Il giorno dopo le ragazze erano in piazza con i foulard rossi . “Bandiera rossa trionferà” e c’era chi ci credeva e aveva paura. Ho visto crollare anche  il comunismo e assisto adesso all’accanimento terapeutico con cui i nostalgici pensano ancora a quella ideologia.

 Da lontano ho visto crollare il maoismo,  quelli avevano fatto  la rivoluzione davvero. Poveretti, stanno diventando capitalisti, hanno distrutto un popolo facendo quaranta milioni di aborti e allevando generazioni di figli unici.

 “Tutto passa” Rimane Cristo e la sua Chiesa. Attenti però che anche la chiesa sta passando attraverso una faticosa purificazione. Di essa resterà solo ciò che è discepolato di Cristo. Tutto il resto passerà.

Ho imparato che Cristo è l’Alfa e l’Omega. Il principio e la fine di tutto. Me lo hanno detto uomini anche importanti, o che si credevano tali. Si pensava che facessero storia, hanno invece condizionato una stagione. San Paolo direbbe: “Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo” (Fil 3,8). “Salva reverentia” sostituirei la parola “spazzatura” con “Carnevale” quando i pagliacci si vestono da re o da persone importanti. “Tutto passa Dio solo resta”.

Per questo il sentimento prevalente di un ottantenne è la sicurezza, quella vera, quella che viene da Dio e che ti fa dire “So in chi ho creduto e sono certo”. “Non mi sono sbagliato”. Aveva ragione San Paolo quando scriveva: “Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo.“ (Gal. 6,14)

La certezza conquistata è sorgente di gioia autentica. Una possibilità di ridere non su tutto ma sicuramente su molto. Per questo credo che gli anziani facciano paura: fa paura l’essenziale, si ama chi è ancora in ricerca e si fugge chi ha già trovato. “Invecchiare senza essere vecchi”: è una formula seducente ma che sembra non affrontare direttamente le contraddizioni. Come uscire da questo empasse? Come fare dell’anzianità, della vecchiaia, diciamo così, un’età della vita e non una malattia della vita? Come fare dell’anzianità un’età politica e non un naufragio solitario?

Soltanto l’esperienza degli anziani può rispondere.

A settantacinque anni è cominciata una nuova era della mia vita, come a ventitrè quando diventai prete, a quaranta quando diventai rettore, a cinquanta quando diventai vescovo, a sessanta quando diventai Ordinario militare e a sessantasette quando divenni arcivescovo di Cagliari. Ogni età che ci viene concessa è caratterizzata dalla ricchezza delle età precedenti. Quella che sto vivendo adesso è caratterizzata da una grande libertà, non ho strutture che mi condizionano, non ho superiori, solo Dio, a cui rispondere , non ho clienti a cui distribuire favori, ho soltanto amici sinceri e che si sono rivelati tali, sono un libero imprenditore del Regno di Dio senza obbligo di seguire programmi o progetti di chi ti dovrebbe dare i denari per realizzarli. Niente di tutto questo: Dio solo e la potenza del Suo Spirito. È bellissimo, lo auguro a tutti. Un mio antico alunno, quando feci settantacinque anni mi regalò il “De senectute” di Seneca, dicendomi di fare il bravo. Quanta sapienza! “Quando sarò lassù, allora sarò veramente uomo” Scrive Ignazio d’Antiochia. Ma ho la sensazione di essere ora veramente vescovo “Dedicato alla preghiera e all’annuncio della Parola di Dio”.

Dio c’è. Ci sono amici veri, c’è un campo immenso in cui lavorare, sicuramente non quello in cui hai già lavorato. “Gli anziani faranno sogni” dice il profeta Gioele (3,1). Il sogno , secondo Freud , sarebbe frutto di una repressione avvenuta durante il giorno e io non sono assolutamente represso per cui , come anziano ho un progetto chiaro da realizzare, lo stesso di quando diventai prete: aiutare le persone a diventare sante. Ho la provata convinzione che soltanto realizzando la propria vocazione la gente è felice e la santità è l’unica assoluta necessità dell’uomo e del mondo.

Cinquanta anni fa il Vaticano II proclamò “la vocazione universale alla santità”e , a dire il vero, in questo giubileo non ho mai sentito risuonare questo messaggio fondamentale. Soltanto la santità potrà tenerci al sicuro in tante situazioni. La santità è la pienezza della perfezione umana: nessuno può essere grande e affidabile se non è santo. “Il Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all’umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d’instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione” (G et sp 3)

Solo producendo santi la chiesa è utile all’umanità.

E’ possibile avere uomini di stato santi: De Gasperi, La Pira, erano uomini affidabili, li ho conosciuti.
Uomini di Chiesa Santi: Karol Woytjla, Elia Dalla Costa, Ildefonso Schuster, Oscar Romero, Don Pino Puglisi.
Professionisti Santi: Giuseppe Moscati, Contardo Ferrini.
Famiglie sante: I Beltrame Quattrocchi, i coniugi Luigi e Zelia Martin, i genitori di Teresa di Gesù Bambino.
E anche i ragazzi: Domenico Savio, Francesco e Giacinta di Fatima.
Essere prete significa aiutare i fratelli a raggiungere la santità facendoci maestri di Comunione con Dio attraverso la preghiera e avvicinando all’ Eucarestia. Così il prete aiuta l’umanità a crescere, ad essere più buona. Questo era vero cinquanta anni fa come è vero ora e come sarà vero per sempre. Ecco perché il prete non invecchia ma si affina nella professione conoscendo sempre più l’uomo e diventando sempre più amico di Dio.
Vedo tra voi molti che son frutto del mio ministero sacerdotale, per alcuni, don Giuseppe, è Padre nello Spirito. Ringraziate con me il Signore per questi ottanta anni perché il Signore me li ha concessi per voi e perché continui a vivere per Lui e per voi.

 

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