Il Vaticanese

Nel linguaggio biblico il segreto del mondo

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Cupola della “Genesi”, San Marco, Venezia

Come è possibile che crescano alberi ed erbe senza la luce del sole? Come è possibile che animali carnivori si alimentino con una dieta totalmente vegetariana? Sono alcune delle domande che spontaneamente sorgono quando ci si avvicina alla prima pagina della Bibbia, con il racconto della creazione. E, continuando nella lettura, le domande si moltiplicano. Perché, ad esempio, dopo aver già parlato della creazione dell’umanità, quando tutto il mondo è già pronto, si ricomincia da capo, narrando nuovamente la creazione dell’uomo e della donna e successivamente delle piante e degli animali? Quando si giunge poi al racconto dell’uccisione di Abele da parte di Caino, quest’ultimo sembra temere una vendetta da parte di altri uomini, che teoricamente non dovrebbero esistere…

Non bisognerebbe allora riconoscere una forte ingenuità o addirittura un’imbarazzante ignoranza, a giustificazione di tante incongruenze? Il crescere esponenziale delle conoscenze scientifiche sembra togliere ogni spazio possibile a racconti a cui si nega una capacità di comunicazione veritativa, oggettiva, e che vengono relegati in una sorta di limbo chiamato “linguaggio mitico”, quasi fosse un racconto fiabesco.
In questa prospettiva il concetto di mito viene ridotto a quello di prodotto fantasioso, privo di reale fondamento e possibile solo in società dominate da un pensiero arcaico, assolutamente prescientifico e pretecnologico. In definitiva, ciò che viene raccontato in Genesi 1-11 potrebbe essere paragonato a un campo di battaglia, dove l’avanzamento di un contendente (il pensiero scientifico) non può che essere a detrimento dell’altro (pensiero mitico-religioso).
L’immagine di uno scontro tra pensiero scientifico e pensiero mitico suggerisce una visione appiattita su un piano orizzontale. Se invece si introduce la dimensione verticale, con la possibile coesistenza di più livelli, la presenza del linguaggio scientifico non diventa alternativa alla possibilità di molteplici stratificazioni e modalità diverse di linguaggio. Ogni livello di linguaggio risponde alle proprie regole, secondo i propri limiti e competenze, ma soprattutto secondo le domande da cui ciascun piano procede.
Si possono dunque accettare, senza cadere nella dicotomia, i dati della cosmologia scientifica odierna e gli studi della paleontologia con tutte le loro ipotesi di ricerca, e insieme accogliere il messaggio biblico sulle origini come capace di illuminare tuttora la nostra esistenza, fino a riconoscervi una parola di rivelazione divina.
Si pone pertanto la questione di comprendere dall’interno le caratteristiche e le finalità del linguaggio biblico circa le origini del mondo e dell’uomo. Non dovrebbe creare difficoltà il considerare Genesi 1-11 come un linguaggio mitico. Il mito ha la forma del racconto collocato in un tempo fondamentale, in cui uno dei protagonisti necessari è il divino. In apparenza quella narrazione riguarda qualcosa che “c’era una volta”, in un tempo passato, mentre in realtà riguarda quello che capita sempre e che riguarda dunque anche l’oggi. Il racconto mitico vuole condensare in un tempo primordiale qualcosa che deve sottrarsi alla mutevolezza delle vicende storiche, perché sia universalmente valido.

Precisiamo che, per la Bibbia, in Genesi 1-11 si incontra il linguaggio mitico, ma non quello mitologico, perché quest’ultimo ha a che fare con la nascita, la presenza e l’azione di varie divinità, magari in conflitto tra loro, mentre nel testo genesiaco vi è un unico protagonista divino: Yhwh ‘Elōhîm, il Signore Dio.

Fonte Osservatore Romano di Patrizio Rota Scalabrini

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