Il Vaticanese

Riflessione di S.E. Mons. Giuseppe Mani per la scomparsa di S.E. l’Arcivescovo Mons. Ennio Appignanesi

S. E. Monsignor Ennio Appignanesi.
a cura di S. E. Mons. Giuseppe Mani/

È’ morto don Ennio. Aveva novant’anni e da un momento all’altro c’era da aspettarsi la notizia della sua partenza per la casa del Padre anche se sembrava ancora lontana. Mi aveva telefonato la settimana scorsa per ringraziarmi dell’ omaggio del libro “i preti di Wojtyla” che gli avevo mandato e che aveva letto “con grande curiosità’ e gusto”. Terminati gli studi universitari e deciso che sarei rimasto a Roma, fui destinato vice parroco a Casalbertone e fu il mio primo parroco. Rivedo il lungo corridoio della canonica parrocchiale e la prima camera, senza bagno, come tutte, era la sua, la più scomoda perché dava proprio sul cortile dove centinaia di ragazzini a tutte le ore facevano un chiasso indiavolato. Era il Signor Parroco, ma il servo di tutti, il primo ad alzarsi la mattina e l’ultimo ad andare a dormire la sera, la sua macchina, eternamente in riserva , era al servizio di tutti. Non ritirava lo stipendio ma lo capitalizzava in Vicariato perché serviva per i campeggi estivi, non aveva mai un soldo in tasca. Eravamo serviti da due sante suore che avevano l’ordine di non far mancare niente ma che i frigoriferi fossero sempre pieni in maniera che anche di notte, sopratutto in estate, potessimo mangiare frutta e dissetarci con quanto avessimo desiderato. Aveva una pastorale con “una linea chiara ” a cui dovevamo attenerci e che spesso diventava oggetto di scherzo, sempre al primo piano, dove potevano arrivarci soltanto i preti e dove regnava  un aria di grande famiglia e allegria. Eravamo dopo il sessantotto e a Casalbertone non avvennero le cose strane di alcune altre parrocchie pur portandosi tutti gli epiteti  di conservatore, reazionario, landucciano ma che tenne tutti quei valori che poi lentamente sono stati recuperati anche da chi li aveva contestati. Don Ennio voleva un gran bene ai suoi preti pur avendo poi saputo che alcuni erano lì perché avevano dovuto lasciare la diocesi, neppure noi confratelli sapevamo niente, tanta era la riservatezza e la dignità del parroco. Quando divenni Rettore del Seminario Romano dovetti chiedere alcuni favori, sopratutto  l’accoglienza di alcuni sacerdoti e seminaristi e la sua risposta era  pronta “al seminario non si dice mai di no“. Divenne vescovo, addirittura ausiliare di una piccola diocesi delle Puglie e dopo poco fu trasferito ancora più in giù quando con grande sorpresa di tutti lo vedemmo di nuovo a Roma vice gerente col Cardinale Poletti di cui non condivideva la linea pastorale e infatti la collaborazione durò poco e fu di nuovo mandato nel Sud come Arcivescovo di Matera e dopo pochi anni arcivescovo di Potenza dove concluse il suo mandato per limiti di età. Si definiva, ridendo di se, “vescovo girovago” e veramente lo fu, senza possibilità’ di affermare  una sua pastorale con una certa stabilità . Non era né un teologo n’è uno studioso ma un uomo di grande cultura pastorale e spirituale. Aveva letto pochi libri ma molte anime ed aveva quella sapienza cordis che fu riconosciuta a Papa Giovanni. Era sopratutto un uomo di fede, credeva davvero nel Signore, nella Madonna e amava la Chiesa  anche se sapeva bene che non avevano un gran concetto di lui. Amava Dio e la chiesa più’ di se stesso e questo è quello che conta e che vale. Nella mia non breve esperienza umana e sacerdotale mi è raramente capitato di conoscere una persona più disinteressata e distaccata da se stesso di don Ennio, veramente morto a se stesso. Don Ennio era davvero un bel cristiano.

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