Il Vaticanese

Nella Stella Matutina di Roma in preparazione alla Beatificazione di Paolo VI

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Papa Paolo VI – Concesio, 26 settembre 1897 – Castel Gandolfo, 6 agosto 1978

A cura di Viviana Normando/Direttore responsabile/

Le direttive di Papa Montini ai giovani.  Mons. Guido Mazzotta, relatore della Causa di Beatificazione di Paolo VI a Stella Matutina. Si è tenuto a Roma un momento di particolare rilevanza e soprattutto fervido impegno per la preparazione della Comunità alla Beatificazione di Paolo VI. E’ accaduto presso la Parrocchia di Stella Matutina a Monte Mario guidata dal Rettore Mons. Renzo Giuliano, che ha invitato tutti, chiedendo “un’attenzione particolare sull’opera di Paolo VI, Papa da far conoscere soprattutto ai giovani”. E in numerosi sono giunti “a motivo dell’importanza storica per la Chiesa e per il mondo dell’opera di Montini” (R. Giuliano). Mons. Renzo Giuliano – già Rettore della Basilica Santa Maria degli Angeli e dei Martiri di Roma – continua così a svolgere attività di grande rilievo nel cuore di Roma.

L’esempio di Paolo VI

Di Paolo VI durante l’incontro sono stati messi in luce da mons. Guido Mazzotta, Decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, ad esempio, la passione missionaria, la capacità di colloquio della salvezza, di dialogo salvifico, non di un dialogo da salotto. Papa Montini aveva come riferimento il dialogo tra medico e malato, un dialogo moderno che guarisce la malattia. La sua era una battaglia per ancorare il dialogo al metodo della democrazia. Non a caso molti dei giovani che hanno fatto l’Italia della Costituente hanno fatto riferimento anche a lui e sono cresciuti nella Fuci di Montini.

Mons. Guido Mazzotta

Il Papa del Sinodo

Ciò che stiamo vivendo in questi giorni come il Sinodo dei Vescovi è stato istituito da Paolo VI, per favorire il dialogo all’interno della Chiesa. Trovare un asse attorno a cui discutere sui temi della Chiesa è ciò che egli aveva fatto molto bene anche da Cardinale e lo ha impostato da Papa, quando venne eletto il 21 giugno 1963, per una Chiesa rigorosa ma moderna. La discussione per Papa Montini doveva essere, in merito alla Chiesa, un confronto al suo interno e al suo esterno ovvero la Chiesa vista in se stessa e la Chiesa nella sua propensione missionaria.

Il dialogo fertile

Fondamentale per Montini il dialogo con i fratelli. Si è inginocchiato, ad esempio, alla fine della Liturgia Eucaristica il 14 dicembre 1975, davanti al Metropolita Melitone di Calcedonia, delegato del Patriarca di Costantinopoli, che rappresentava per il Papa tutta l’ortodossia e ne baciò i piedi. Un gesto bellissimo, semplice e profondamente cristiano e comunitario che in molti a quei tempi hanno detto non si addicesse al Papa; ha poi rimandato ai turchi la bandiera della vittoria cristiana come gesto di pace; o si è presentato a Ginevra dicendo: “Io sono successore di Pietro e il mio nome è Pietro, non Paolo”. Con Montini saldo è stato il dialogo con le religioni non cristiane, a Bombei, in India, o il suo rispetto per la cultura delle religioni nella sua capacità di prendere queste religioni e trasfigurarle nel Cristianesimo. Poi viaggiò per primo dall’India a Honk Kong per aprire le porte alla Cina, dopo la persecuzione religiosa, dopo lo scisma cinese: alla Cina ha rivolto parole di amicizia. E dell’esito dei suoi viaggi informava l’Aula Conciliare pure al suo rientro, con una delicatezza straordinaria. Ricordiamo tanti dei suoi discorsi dalle parole: ‘Mai più la guerra, perchè con la guerra tutto è perduto e con la pace tutto può essere salvato’.

da Sx: Mons. Guido Mazzotta e Mons. Renzo Giuliano

Fu Paolo VI a presentare al mondo la Chiesa come ‘esperta in umanita”’ come viene citata dai padri sinodali in questo 2014. Paolo VI teneva moltissimo al concetto di Chiesa e si respirava ad ogni sua considerazione. Due documenti ricordo: ‘la Populorum Professio’ del 26 marzo 1967 che cita Benedetto VI in ‘Caritas in Veritate’. Il Papa Emerito ha costruito un monumento a Paolo VI ove Papa Montini già aveva proposto alla Chiesa nel 1975 il primo documento dedicato alla gioia, nel corso dell’Anno Santo, ‘Gaudete in Domino’ che Papa Francesco prende in grande considerazione nella sua ‘Evangelii Gaudium’. Papa Paolo VI per il suo rigore fu definito ‘paolo mesto’ ma aveva una gioia profondissima, Montini era un papa ponderatore e lottava per le cause in cui credeva a favore della collettività. Gli furono fatti degli attentati tra cui gli venne messa una bomba nel cortile dell’Arcivescovado di Milano. Del periodo milanese ricco di documentazione è il Centro Studi dell’Istituto Paolo VI di Brescia, dove molto c’è proprio ‘dell’uomo del dialogo, del maestro di pace, del promotore di quello sviluppo per i Paesi poveri per il quale volle un concreto impegno da parte della Chiesa’ (Sala Stampa della Santa Sede).

Il miracolo che lo ha reso Beato

In merito al miracolo che lo ha fatto diventare beato, si tratta di un avvenimento accaduto in California. Succede che una giovane donna resta incinta e trovano che il feto era avvelenato con le sue urine. I medici consigliano di abortire per il pericolo di morte del bambino e della madre o dei gravi handicap qualora riuscisse a nascere. Ma la mamma in quel periodo lesse e segui’ Paolo VI che aveva appena scritto ‘l’Humanae Vitae’ e si raccomanda a Paolo VI. Attualmente questo giovane, la cui identità è segreta come ha chiesto la mamma, fa l’università, pratica sport, fa basket ed è un ragazzo normale.

Un Papa audace e aperto al mondo

Paolo VI dunque fu un Papa aperto al mondo, di un intelligenza acutissima e moderato. Ricordiamo ancora che all’indomani dell’annuncio del Concilio del 26 gennaio 1959. Papa Giovanni aveva annunciato il Concilio..l’allora Arcivescovo Montini disse ‘e’ una grande cosa il concilio ma bisogna andarci cauti’. Aveva visto i rischi del concilio all’indomani dell’annuncio. Lesse sempre i documenti precongressuali come quando chiamò un dirigente della Fuci prima di un congresso a Napoli, interviene al Concilio Pastorale olandese, con la grande discussione sull’Eucarestia, una catechesi memorabile sul mistero eucaristico. Paolo VI ha preservato l’unità della Chiesa, contro i movimenti di autodemolizione della Chiesa” – ha concluso mons. Guido Mazzotta.

Affidamento all’intercessione di Papa Montini

Domenica 19 ottobre 2014 Paolo VI, fondatore della cultura cattolica moderna, è beato e avremo modo di appellarci sempre all’intercessione e alla misericordia del Pontefice che ha condotto tre delle quattro sessioni del Concilio Vaticano II, guidando la Chiesa nel difficile periodo del post-concilio, come farà ora, vegliando dai verdi pascoli di Dio, su di noi e su Papa Francesco.

“Paolo sesto con i suoi quindici anni di Pontificato – ha detto di recente Sua Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi – ha attraversato uno dei periodi più complessi, delicati e tormentati per la Chiesa stessa e non soltanto per il contesto planetario in cui era inserito”.

Mons. Guido Mazzotta ha poi fornito le indicazioni che Paolo VI diede in alcune note che scrisse nel 1931 ai giovani universitari della Fuci e ai laureati di cui aveva cura spirituale suggerendoli di leggerli in vista della sua Beatificazione. Pubblichiamo di seguito tali note, ‘Spiritus Veritatis’, ringraziando di cuore mons. Guido Mazzotta.

Le direttive di Papa Montini ai giovani 

Don Montini stese per gli universitari della FUCI e per alcuni laureati impegnati nel lavoro intellettuale le note intitolate Spiritus veritatis. L’autografo, di sei fogli, reca sul primo foglio, a matita, l’anno 1931. Stampate originariamente anonime, esse furono pubblicate sul “Corriere della sera” all’indomani della morte di Paolo VI (6 agosto 1978) dal prof. Vittore Branca, un fucino di quegli anni. Le note sono ora pubblicate, per le cure di Massimo Marcocchi, in Giovanni Battista Montini. Scritti fucini (1925-1933), Studium, Roma 2004, 536-539.

SPIRITUS VERITATIS

docebit vos omnem veritatem

(Giovanni 16, 13)

Quid

La direttiva morale

Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità per imitare così Gesù Cristo, come a me si conviene (Giovanni 18, 37).

Intendo per testimonianza la custodia, la ricerca, la professione della verità. Intendo per verità l’adesione ad ogni intelligibile realtà: Dio quindi somma e prima Verità, che in Sé sussiste Padre, Figlio, Spirito; e ogni cosa che, in me e fuori di me, può essere oggetto di conoscenza e di espressione e, per ogni luce a me concessa dalla natura e dalla grazia, può essere posseduta, goduta e manifestata dal mio spirito.

Con questo proposito voglio dare uno specifico significato morale alla mia vita e voglio per questa via cercare la mia perfezione spirituale e la mia salute eterna, in conformità alla preghiera di Gesù per i suoi discepoli: “Santificali nella verità: la tua Parola è verità” (Giovanni 18, 17).

Questo proposito deve rimanere caro segreto della mia coscienza, e valido solo di fronte a Dio e ad essa.

L’esercizio del pensiero acquista così per me una somma importanza morale. Devo amare il silenzio, l’attenzione, il metodo, l’orario per rendere proficuo e virtuoso lo studio. Non devo dissipare in vane letture il tempo e lo spirito; ma cercare di sceglierle bene; con criterio conveniente per una larga coltura, ma con ordine e con intento di profittare, per qualche verso, di tutte.

Un deciso, vigore applicherò per tener libera la mente da dubbi futili, da abbandoni pessimisti, da fantasmi impuri, da intenzioni astute, doppie, egoiste, da pigrizia di ricerca e di riflessione.

Invece procurerò di seguire le ispirazioni felici, di sviluppare i buoni pensieri, di conservare e far fruttificare le certezze sperimentate.

Con occhio pio e puro cercherò in ogni verità particolare riflessi della Verità prima e non lascerò definitivamente posare ed esaurirsi il desiderio di sapere nell’indagine terrestre; ma manterrò agile alla mente lo slancio per un abituale allargarsi e innalzarsi in Dio, profittando, ove mi siano concessi, dei doni dello Spirito Santo.

La disciplina morale che intendo seguire non aggiunge obblighi né impone vincoli particolari a quelli inerenti al mio stato.

Cur

La direttiva intellettuale

Intento della disciplina morale che mi prefiggo, oltre quello della mia personale perfezione, è di contribuire all’incremento della vera e buona cultura.

Per quanto sarà possibile all’indole del mio lavoro, cercherò di promuovere lo studio di cose religiose.

Convinto della provvidenziale missione confidata al magistero della Chiesa cattolica nelle cose divine e necessarie alla salvezza umana, coltiverò in me la passione della fedeltà alla Chiesa, come Maestra di Verità, e con umile e intelligente comprensione cercherò di appropriarmi la sapienza vitale degli imperituri insegnamenti di essa.

Qualunque sia dunque l’ordine dei miei studi, amerò la letteratura che raccoglie il pensiero tradizionale della Chiesa. S. Agostino e S. Tommaso avranno da me venerazione particolare. Mi farò precetto di conoscere con sufficiente esattezza e ampiezza la dottrina cristiana.

Ma tutto ciò per illuminare e sorreggere, non per sostituire o inceppare lo studio che mi sono scelto come ramo della mia competenza; perché devo dare alla mia preparazione professionale le migliori fatiche intellettuali, vincendo l’indolenza dilettantista per precisare un campo di studio e di lavoro.

Questo proposito di serietà deve tradursi anche in una sincera probità scientifica e in una misurata critica dell’opera mia, così che né fretta, né vanità mi tentino a immature affermazioni e pubblicazioni; ma nello stesso tempo deve anche infondermi il coraggio e l’umiltà per tendere a qualche conclusivo risultato di mia e altrui utilità e per far fruttare quanto meglio possibile i talenti intellettuali che Dio mi ha dato.

Quomodo

La direttiva spirituale

Questo programma di vita esige ch’io abbia intensità e unità spirituali intimamente cristiane, superiori alla comune maniera di chi semplicemente si dice credente e praticante.

Eppure nessuna regola, nessuna aggiunta straordinaria distingua la mia vita cristiana dalla sua forma normale ed essenziale.

Anzi una sola nota mi sia straordinaria, e cioè un particolare amore a ciò che è essenziale e comune nella vita spirituale cattolica. Così avrò la Chiesa Madre di Carità: la sua Liturgia sarà la regola preferita per la mia spiritualità religiosa; la parrocchia il luogo preferito per la mia preghiera; la riverenza al Parroco, al Vescovo, al Papa, l’espressione concreta del mio omaggio alla carità e all’unità e della mia rinuncia all’egoismo e al particolarismo. Mi sia quindi caro che alla mia educazione spirituale presiedano la semplicità dei dogmi fondamentali della fede e l’armonia della costituzione unitaria della Chiesa, bastando e sovrabbondando alla mia pietà, per esser vivace e verace, la fortuna di appartenere semplicemente, ma direttamente al seguito di Cristo, e di partecipare, con l’adesione al suo Corpo mistico, ai suoi meriti, alla sua storia, alla sua gloria.

Nutrirò la mia anima della sapienza e del gaudio di qualche pia meditazione, almeno settimanale, ispirandola principalmente alle letture liturgiche del tempo, al Vangelo o ad altri scritti della Bibbia, o a quelli di qualche grande savio cristiano; e spingerò abitualmente così in alto i desideri della mia anima da rendermi connaturale bisogno l’esercizio della preghiera.

Per ricordare tutti questi impegni e alimentare questo spirito procurerò (senza farmene stretto obbligo), di recitare nei giorni festivi, in unione a tutta la Chiesa orante, una o due delle Ore canoniche dell’Ufficio divino (per es., le Lodi, Prima, Vespro, Compieta).

E cercherò l’opportunità di raccogliermi, possibilmente ogni anno, in un breve ritiro spirituale.

Pro et cum quibus

La direttiva sociale

Docile all’invito della verità da conquistare, devo esserlo anche all’invito della verità da propagare. Non mi basti essere un fedele; mi sia doveroso essere un apostolo.

Perciò amerò. Amerò ancora innanzitutto la Verità confidatami da Dio, chiedendo a Lui la grazia di difenderla, senza esitazioni, restrizioni, compromessi e di professarla, scevra da esibizioni, con pura libertà e cordiale fortezza di spirito, e di mostrarmi sempre coerente, nel pensiero, nella parola, nell’azione.

Ma gli altri non si accorgano facilmente di questa interiore offerta alla Verità, e solo s’avvedano che i miei rapporti con essi sono sempre improntati a una grande umiltà, a una grande bontà.

E anche: a una grande sincerità. Una primitiva sincerità di linguaggio e di modi deve essere riflesso esteriore dell’energia con cui voglio interiormente servire il vero.

Poi mi studierò di esercitare qualche opera di carità anche materiale, e di essere normalmente calmo e cortese, e anche, a tempo debito, lietamente socievole.

E per quanto lo consentirà il raccoglimento dello studio, vedrò di favorire la diffusione della verità negli altri. Determinerò quale possa essere per me la forma migliore per far ciò, accordandola possibilmente con lo stesso ordine dei miei studi e senza soverchio scapito della libertà ch’essi reclamano.

La cattedra, la stampa, l’opera d’arte, la conferenza, la corrispondenza, il consiglio e sempre l’amicizia, e poi ogni altra forma di comunicazione con gli altri, potranno essere, a ragion veduta, un dovere per me; dovere che, una volta prefisso, adempirò volentieri e con disinteresse.

Se incontrerò altri che come me siano impegnati dalla stessa offerta interiore, li avrò carissimi e ne gradirò l’amicizia, aggiungendo ad altre eventuali già esistenti relazioni una particolare dilezione, intesa ad avvalorare i comuni propositi.

Nei limiti del giusto e del possibile, procurerò anche di aiutare la loro attività scientifica e di sostenerli nelle loro necessità professionali.

Se mai sorgesse con queste amicizie un gruppo omogeneo, esso non costituirà associazione, bastando all’unione degli intenti e degli animi i vincoli consueti della carità della Chiesa. Si studierà piuttosto con quali iniziative si possa insieme contribuire all’incremento degli studi e alla mutua consolazione ed edificazione.

Maria, sede della Sapienza,

mi aiuti a mantenere questi propositi.

 

 

 

 

 

 

 

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