Il Vaticanese

La Porta della Fede

Benedetto XVI - La Porta della Fede
Pubblicato il motu proprio col quale Benedetto XVI ha indetto l’Anno che si aprirà
l’11 ottobre 2012, cinquantesimo anniversario dell’inizio del concilio Vaticano II.

LA PORTA DELLA FEDE

Per dare nuovo impulso alla missione di condurre gli uomini
fuori dal deserto verso il luogo della vita e dell’amicizia con Cristo

 

1. La «porta della fede» (cfr. At 14, 27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr. Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr. Gv 17, 22). Professare la fede nella Trinità — Padre, Figlio e Spirito Santo — equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr. 1 Gv 4, 8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore.

2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: «La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza»(1). Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato(2). Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone.

3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr. Mt 5, 13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr. Gv 4, 14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr. Gv 6, 51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna» (Gv 6, 27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (Gv 6, 28). Conosciamo la risposta di Gesù: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza.

4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II(3), allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi(4) e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse «un’autentica e sincera professione della medesima fede»; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera «individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca»(5). Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere «esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla»(6). I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio(7), per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato.

5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una «conseguenza ed esigenza postconciliare»(8), ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del Beato Giovanni Paolo II, «non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre»(9). Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: «se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa»(10).

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: «Mentre Cristo, “santo, innocente, senza macchia” (Eb 7, 26), non conobbe il peccato (cfr. 2 Cor 5, 21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2, 17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11, 26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce»(11).

L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr.At 5, 31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita» (Rm 6, 4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La «fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5, 6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr. Rm 12, 2; Col 3, 9-10; Ef 4, 20-29; 2 Cor 5, 17).

7. «Caritas Christi urget nos» (2 Cor 5, 14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr. Mt 28, 19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, «si fortificano credendo»(12). Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio(13). I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla «porta della fede».

Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.

8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo.

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare lacelebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia»(14). Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata(15), e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno.

Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: «Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore»(16).

10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive: «Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di fede» (Rm 10, 10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo.

L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il «Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16, 14). Il senso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio.

Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo «stare con Lui» introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa.

La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: «“Io credo”; è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. “Noi crediamo” è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. “Io credo”: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire “Io credo”, “Noi crediamo”»(17).

Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore(18).

D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico «preambolo» alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di «ciò che vale e permane sempre»(19). Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro(20). Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.

11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nelCatechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: «Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale … Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede»(21).

È proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede.

Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.

12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.

La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità(22).

13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.

In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza.

Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr. Lc 1, 38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr. Lc 1, 46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr. Lc 2, 6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr. Mt2, 13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr.Gv 19, 25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr. Lc 2, 19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr. At 1, 14; 2, 1-4).

Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr. Mc 10, 28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr. Lc 11, 20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr. Gv 13, 34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc16, 15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.

Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr. At 2, 42-47).

Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.

Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr. Lc 4, 18-19).

Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr.Ap 7, 9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.

Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.

14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (1 Cor 13, 13). Con parole ancora più forti — che da sempre impegnano i cristiani — l’apostolo Giacomo affermava: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: “Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”» (Gc 2, 14-18).

La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. È la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia» (2 Pt 3, 13; cfr. Ap 21, 1).

15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di «cercare la fede» (cfr. 2 Tm 2, 22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr. 2 Tm 3, 15). Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine.

«La Parola del Signore corra e sia glorificata» (2 Ts 3, 1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro — destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco — torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime» (1 Pt 1, 6-9). La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr. Col 1, 24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: «quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr. Lc 11, 20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.

Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata «beata» perché «ha creduto» (Lc 1, 45), questo tempo di grazia.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.

A cura dell’Osservatore Romano.

Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): aas 97(2005), 710.

2 Cfr. Benedetto XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010): Insegnamenti vi, 1 (2010), 673.

3 Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): aas 86 (1994), 113-118.

4 Cfr. Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: inEnchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.

5 Paolo VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): aas 59 (1967), 196.

Ibid., 198.

7 Paolo VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’«Anno della fede» (30 giugno 1968): aas 60 (1968), 433-445.

8 ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti v (1967), 801.

9 Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: aas 93 (2001), 308.

10 Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): aas 98 (2006), 52.

11 Conc. Ecum. Vat. ii, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.

12 De utilitate credendi, 1, 2.

13 Cfr. Agostino D’Ippona, Confessioni, i, 1.

14 Conc. Ecum. Vat. ii, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.

15 Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): aas 86 (1994), 116.

16 Sermo 215, 1.

17 Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.

18 Cfr. Conc. Ecum. Vat. i, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-3009; Conc. Ecum. Vat. ii, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.

19 Benedetto XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): aas 100 (2008), 722.

20 Cfr. Agostino D’Ippona, Confessioni, XIII, 1.

21 Giovanni Paolo II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): aas 86(1994), 115 e 117.

22 Cfr. id., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e 106: aas 91 (1999), 31-32, 86-87.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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