Vanità delle Vanità. XVIII Dom. T.O.

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a cura di S. E. l’Arcivescovo Mons. Giuseppe Mnai/

“Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Parla così un saggio che ha preso la misura delle cose. Più che rivelazione di Dio è la conclusione di chi tiene gli occhi aperti sul mondo e sul corso delle cose. Più tardi, una saggia che non aveva la fama di essere un disfattista dirà “Nulla ti turbi, nulla ti sgomenti, tutto passa Dio solo resta“. Sono le celebri parole, mille volte ripetute e cantate, di Santa Teresa d’Avila, tonica riformatrice del Carmelo. Non si può ignorare la fragilità del mondo. La sua consistenza non può essere considerata un assoluto indistruttibile.

L’insegnamento di questa domenica non è in qualche maniera disfattista e neppure orientativo di una visione pessimistica del mondo. La Genesi ci dice che Dio, tutto ciò che ha fatto e lo ha consegnato alle mani dell’uomo, è “buono” anzi”molto buono”. L’invito al distacco che oggi ci viene proposto è messo in prospettiva col desiderio dell’uomo.
Sappiamo per esperienza che il desiderio è potente. Desiderare di vivere, di crescere, di gioire di possedere, d’avere potere, di dominare……Questo desiderio non può essere lasciato senza dominio perché porta sicuramente alla rovina. Basta dare un colpo d’occhio al nostro mondo per renderci conto di questa verità. Ma non c’è soltanto l’intensità del desiderio ma anche l’oggetto di esso che attraverso la concupiscenza si orienta a tutti i beni terreni. L’accecamento sulla loro caducità, i loro limiti, la loro incapacità a soddisfare autenticamente il cuore dell’uomo spinge ad un ingorgo passeggero di beni , di piacere e di potere. Così pieno di illusioni l’uomo perde di vista ciò che ha in comune con i beni: la finitezza, la friabilità, e la stessa caducità.
La Parola di Dio, oggi, non ci spinge all’odio del mondo e delle cose del mondo quanto piuttosto ad una lucidità, unica garanzia della libertà del cuore. Credere che questo mondo basta ed è sufficiente a soddisfare il cuore dell’uomo è una menzogna e un inganno. Paolo fa eco alle parole di Gesù che Luca ci riporta con forza e precisione. L’uomo porta in se la stessa marca del creato: è fragile. Senza dubbio la morte fa paura ma fa parte della nostra vita. I saggi ci hanno sempre invitato a prenderla in considerazione e pensarci spesso. San Francesco la chiamava “sorella morte”. La morte è un momento ineluttabile, il momento della verità che pone un problema: cosa resta della vita che se ne va?
Cristo invita a tesorizzare non per se stessi o per il mondo che passa. Invita a “Divenire ricchi in vista di Dio“. L’invisibile ricchezza di cui si parla e ciò che fa la sostanza della vita è l’amore, il solo valore che possa valere davanti a Dio.
Il Signore ci richiama oggi ad un sano realismo. Non è scritto da nessuna parte che per essere felici si deve vivere in uno stato di utopia. Così, resi coscienti della fragilità delle cose del mondo, del valore degli esseri e della brevità della vita, ascoltiamo la voce del Signore. Egli ci invita a non sciupare la nostra esistenza ma a dargli tutta la sua consistenza vivendola in diapason del desiderio e della generosità di Dio.

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