Canonizzati i Martiri cristiani uccisi perché cristiani. Il loro sangue ha vinto.

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I Martiri cristiani uccisi da ISIS sono stati canonizzati

A cura di Tempi.it/

La Chiesa copto-ortodossa in Egitto ha annunciato che i 21 cristiani uccisi dallo Stato islamico in Libia sono stati ufficialmente canonizzati come martiri. I loro nomi sono stati inseriti nel Sinassario copto e verranno festeggiati ogni 15 febbraio. «Icone, manoscritti e storici ci hanno testimoniato le gesta dei martiri fin dall’alba del cristianesimo ma questo è il più grande caso di martirio cristiano del nostro tempo», dichiara in un’intervista a tempi.it Anba Macarius (foto sotto a destra), vescovo copto-ortodosso di Minya, il governatorato egiziano da cui proveniva la maggior parte dei 21 cristiani sgozzati dai jihadisti.

Eccellenza, lei credeva ancora nella liberazione dei 21 cristiani?

Ci speravo, ma ci aspettavamo dal giorno in cui sono stati rapiti che sarebbe finita così. I terroristi danno sempre ai cristiani sequestrati una scelta: abiurare la fede e diventare musulmani o essere uccisi, e noi eravamo sicuri che i nostri figli non avrebbero rinnegato il cristianesimo. Ma sapevamo anche che loro non li avrebbero mai rilasciati. Dalle immagini diffuse prima dell’annuncio della loro morte, avevamo già capito che erano stati uccisi.

Che cosa ha provato?

Un grande dolore per la brutalità con cui sono stati uccisi, dolore per le famiglie che ondeggiavano tra speranza e disperazione e dolore per l’Egitto, perché quanto accaduto è un attacco al nostro Stato. È stato doloroso anche perché la vita è preziosa e sacra e nessuno ha il diritto di privare un altro uomo della sua vita. Se ci sforziamo così tanto per proteggere gli animali, figuriamoci quanto dovremmo fare per gli uomini.

Come hanno reagito le famiglie?

Quando è stato diffuso il filmato che mostra il massacro, alcuni dei parenti sono crollati, altri sono svenuti. La moglie di uno degli uomini è stata portata in ospedale in stato di shock. La prima reazione dunque è stata di sorpresa, stupore, risentimento e rabbia. Poi però sono stati anche consolati.

Da cosa?

La Chiesa ha fatto sentire la sua vicinanza, così come lo Stato. Il presidente Al-Sisi ha rilasciato un comunicato, ha ordinato raid aerei, ha dichiarato un periodo di commemorazione, annunciato la costruzione di una chiesa in loro onore e si è recato di persona in Cattedrale per esprimere le sue condoglianze al Papa [copto] Tawadros II. Il primo ministro, invece, è andato a visitare le famiglie nei loro villaggi. Tutto questo ha contribuito a calmare le famiglie ma c’è una cosa più importante di tutte le altre.

Quale?

Hanno realizzato che i loro familiari erano cristiani coraggiosi, che al pari degli altri martiri non hanno rinnegato la loro fede e così lo shock si è trasformato in senso di orgoglio. Certo, il senso umano di perdita, e il modo in cui li hanno persi, continua a pesare su di loro. I cristiani di Minya hanno subìto molte persecuzioni da parte dei Fratelli Musulmani in passato. Come ha reagito la comunità islamica? I musulmani di Minya ci hanno dimostrato il loro affetto e hanno condannato quanto successo. Si sono affrettati a farci le condoglianze e a piangere per l’orrore. Anche a livello ufficiale il fatto è stato condannato e noi ringraziamo per questo i musulmani.

Il video diffuso dall’Isis mostra i cristiani pronunciare il nome di Gesù Cristo prima di essere decapitati. La Chiesa copto-ortodossa li ha dichiarati martiri. La tradizione cristiana ci dice che questa è un’abitudine dei martiri, che loro chiedano cioè agli aguzzini di lasciarli pregare prima di essere uccisi. In quel momento hanno pregato per i loro assassini, per i giudici che li hanno condannati e per i boia. Quando muovevano le labbra, chiedevano a Dio di confermarli nella fede e di perdonare i loro uccisori, così come insegnato dal primo martire, Gesù Cristo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Che valore ha la loro testimonianza?

Pronunciando il nome di Gesù Cristo prima di essere uccisi, hanno confermato di essere morti da cristiani, in nome della loro fede e fedeli fino all’ultimo secondo. Così hanno meritato il Regno dei cieli, come sta scritto nell’Apocalisse: «Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita». Questo è il più grande caso di martirio cristiano del nostro tempo.

Abdel Fattah Al-Sisi ha promesso che farà costruire una chiesa in onore dei martiri. Che cosa significa per voi?

Il Presidente sa che questo significa molto per i copti e li rallegra, soprattutto perché costruire una chiesa è una delle cose più difficili per le leggi attuali. Quando l’annuncio è stato fatto la gente presente al memoriale per le vittime ha applaudito a lungo perché sa che costruire una chiesa è la cosa più grande che si possa fare, dal momento che rimane immortale e serve la vita di molti, ma anche perché è la Chiesa a preparare i martiri.

La vita dei cristiani è migliorata con la presidenza di Al-Sisi?

Sì, non c’è dubbio, ed è per questo che l’abbiamo sostenuto, contribuendo in modo importante alla sua elezione. Nonostante questo, le necessità dei copti richiederanno ancora molto tempo per essere soddisfatte perché nel tempo abbiamo accumulato molti problemi. Serve un cambio di cultura e questo richiede tempo, soprattutto per quanto riguarda il rifiuto o l’accettazione del pluralismo, della diversità e della coesistenza. Questo vale per tutto, non solo per la religione, ma quello che i cristiani hanno patito nei secoli è indescrivibile.

Papa Francesco ha chiamato «martiri» i 21 cristiani. Sentite la vicinanza della Chiesa cattolica?

Anche la Chiesa cattolica onora i martiri e crede nella loro intercessione. C’è un dialogo continuo tra le nostre due chiese per quanto riguarda le cose che abbiamo in comune. Siamo in ottimi rapporti.

Al-Sisi ha chiesto una «rivoluzione religiosa» davanti ai leader musulmani della moschea universitaria di Al-Azhar, autorità del mondo sunnita. È un passo importante per fermare la violenza islamista?

Il Presidente ha chiesto la revisione di alcuni testi che vengono male interpretati dagli estremisti e sui quali questi si basano per sostenere i loro atti di violenza e terrorismo in nome dell’islam. Tuttavia Al-Sisi non voleva attaccare Al-Azhar, che è un’istituzione moderata e il primo riferimento per i musulmani. Ha chiesto agli studiosi di combattere certe visioni errate e parte del materiale utilizzato. Io però ci tengo a sottolineare che Al-Azhar coopera con la Chiesa copta davanti ai tanti rischi che corriamo.

 

 

 

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