L’altra faccia di Babilonia

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Babilonia

A cura di Luca Gallesi – Avvenire – Babilonia, oltre che simbolo della città peccaminosa per eccellenza, è stata anche una città reale, capitale di una grande civiltà. Paolo Brusasco, archeologo e professore di Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente all’Università degli Studi di Genova ha scritto un documentatissimo saggio sull’argomento, Babilonia. All’origine del mito (Cortina, pp. 306, eura 26,00).

Oltre che una città storica, capitale di una civiltà che sotto molti aspetti appare la vera culla dell’Occidente, Babilonia è soprattutto una metafora del peccato, la città simbolo dei lati oscuri dell’umanità, come raccontano tanto gli storici greci che l’Antico Testamento. Cosa ci dicono, oggi, gli scavi archeologici?

«Babilonia nella realtà storica è molto diversa dalla città del Male descritta dalla Bibbia, e rappresenta un faro culturale sia per l’Oriente sia per l’Occidente. Per via della cattività babilonese degli Ebrei, deportati nella capitale da Nabucodonosor II nel 597 a.C. e nel 587 a.C., lo stigma negativo che accompagna la città si è protratto sino ai nostri giorni. Nonostante gli scavi tedeschi di Robert Koldewey di inizio Novecento avessero messo in luce il suo reale volto storico, Babilonia è diventata quindi un simbolo atemporale di peccato e oppressione. Ribaltamento effettivo dell’incredibile fama che nell’antichità avevano acquisito i saggi itineranti babilonesi, grandi scienziati che eccellevano nelle più svariate discipline, dall’astronomia-astrologia alla medicina. Inoltre, va corretta la credenza che la cattività babilonese sia stata così tremenda per gli esuli ebrei. Non solo vi sono le prove che i notabili di Giuda venivano trattati con tutti gli onori a corte, ma Babilonia è il luogo stesso in cui nasce il giudaismo, la nuova religione che vede il popolo eletto stringersi definitivamente intorno all’unico e assoluto Dio, Jahvè, in una sorta di regno teologico (non senza influssi dalla cultura babilonese). È proprio a Babilonia che la sinagoga diventa il centro di riunione per antonomasia, il simbolo della coesione degli esuli».

La prima immagine che viene in mente a proposito di Babilonia è la Torre di Babele.
Qual è il fondamento storico di questa impresa raccontata nella Genesi e immortalata da innumerevoli artisti?

«Tanto suggestiva è ancora oggi la valenza allegorica della Torre di Babele, sinonimo di confusione delle lingue e della follia umana che ha osato sfidare Dio, da rendere la sua identificazione storico-archeologica del tutto irrilevante. Riconosciuta erroneamente nei siti mesopotamici più disparati, solo i già citati scavi tedeschi hanno permesso di svelarne il mito. Dietro la narrazione biblica si cela la ziqqurrat Etemenanki, “Casa delle fondamenta del Cielo e della Terra”, la colossale torre edificata all’inizio del VI secolo a.C. da Nabucodonosor II, colui che aveva ispirato il racconto della Genesi. Un edificio quadrato di 91 metri di lato dotato di un triplice avancorpo scalare, la torre di sette terrazze decrescenti verso il cielo appariva quasi un fantasma agli occhi degli scavatori. Lungi dal rappresentare una metafora di arroganza e confusione umana, la ziqqurrat simboleggia quanto di più sacro era concepibile nella religione dell’epoca. Punto di congiungimento tra gli uomini e la sfera divina. Costruita con l’apporto di tutti i popoli dell’impero babilonese, la torre – il grattacielo dell’epoca – incarna le capacità ingegneristiche dei babilonesi, il simbolo stesso di Babilonia quale capitale multietnica del mondo. E proprio in quanto archetipo della civiltà urbana, Babilonia diventa, nell’ottica biblica, emblema di arroganza e prevaricazione di un potere schiacciante che merita un esemplare castigo divino (si veda anche il riferimento a Caino come primo costruttore di città)».

Babilonia echeggia anche nella musica moderna e contemporanea e nell’architettura di oggi. Perché?

«Proprio in quanto simbolo di grandissima attualità: per la sua valenza di icona senza tempo, avulsa da un contesto storico preciso, Babilonia non è più semplicemente una città, bensì una metafora la cui connotazione negativa attribuitale dalla Bibbia ha un potere subliminale straordinario. Il Salmo 137, in particolare, il cosiddetto Canto dell’esule, bene si presta a esprimere il tormento della diaspora africana cui si riferisce Bob Marley, o ancora le istanze libertarie del nostro Risorgimento cantate dal “Va, pensiero” del Nabucco. Come anche il tema dell’incomunicabilità (e della confusione) che viene rivisitato in chiave moderna nell’alienazione della vita nelle città multietniche del mondo moderno, o addirittura nella visione apocalittica dell’incomprensione religiosa tra Islam estremista e Occidente cristiano, prefigurata dalle recentissime torri del World Trade Center di New York nell’opera digitale Babel Revisited di Julee Holcombe».

Come finì Babilonia?

«La “caduta” di Babilonia profetizzata dalle Sacre Scritture non avvenne mai, almeno non nei termini apocalittici dipinti dai profeti. Mentre un lento sfiorire in età ellenistica portò a un inarrestabile declino, la vera distruzione della città mitica è avvenuta solo in tempi assai recenti. Ma la creazione della base militare alleata in seguito alla II Guerra del Golfo del 2003, al pari dei faraonici restauri dell’ex leader iracheno Saddam Hussein negli anni Ottanta, ne ribadiscono ancora una volta l’importanza come città-simbolo».

 

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