Nel “Giorno del Ricordo” la memoria di foibe ed esodo giuliano-dalmata

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Esuli istriani in partenza da Pola per l'Italia
Esuli istriani in partenza da Pola per l’Italia

Si celebra oggi il “Giorno del ricordo” delle vittime dei massacri delle foibe, profonde gole della regione carsica triestina e istriana, e del successivo esodo giuliano-dalmata che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, vide migliaia di cittadini italiani lasciare forzatamente l’Istria e i territori del Regno d’Italia, occupati dall’ esercito del maresciallo Tito e poi annessi alla Jugoslavia. Una dolorosa pagina storica a lungo misconosciuta per motivi ideologici e politici.

Foibe ed esilio: realtà misconosciute

Nel 2004 finalmente l’istituzione di questa giornata che vuol far riemergere la verità dei fatti al di là dei pregiudizi.  “Certamente è un merito avere istituito la Giornata del Ricordo – conferma mons. Ettore Malnati, vicario episcopale per la cultura e il laicato della diocesi di Trieste – perché il dramma foibe fino ad allora era circoscritto un po’ nella nostra regione. In Italia poco si sapeva e, se si sapeva, c’era intorno a questa questione molta confusione. Bisogna dire, ad esempio, che il giornale “l’Unità” del 30 novembre 1946, scriveva di non dare accoglienza a queste persone che venivano via dall’Istria, quindi secondo il giornale, da una dimensione di libertà, e quindi di non aiutare questi profughi.

L'eccidio delle foibe e l'esodo
L’eccidio delle foibe e l’esodo

L’importanza del Giorno del Ricordo

Successivamente, dopo l’istituzione della Giornata anche tante scolaresche e anche i giornali e determinati libri di testo, riportano il discorso della tragedia delle foibe e dell’esodo. Che è  stato veramente una pulizia etnica nei confronti di coloro che avevano una cultura italiana e coloro che erano persone dedite alla vita cristiana”.
Caduti i muri e le ideologie – continua mons. Malnati – non si identificano più gli italiani come fascisti e gli slavi come comunisti e quindi oggi ci si può guardare negli occhi e lavorare insieme per un futuro di convivenza pacifica.

Una pulizia etnica e religiosa: tra le vittime don Bonifacio

Tra le vittime del regime jugoslavo negli anni 1943-47, anche  sacerdoti  e religiosi. Come don Francesco Bonifacio,  nato a Pirano, beatificato da Benedetto XVI proprio 10 anni fa.  “Un prete molto giovane e bravo –lo descrive mons. Malnati –  che si occupava molto, dal punto di vista pastorale, dei giovani sottraendoli a quelle che erano le mire di sovranità su quei territori del partito titino. Questo ovviamente suscitava molto dispetto: don Bonifacio viene preso e dal quel giorno, era l’11 settembre del 1946, scompare. Della sua morte non si conoscono i particolari ma – continua mons. Malnati  – io sono stato presidente del Tribunale diocesano per la sua beatificazione e posso dire che  abbiamo raccolto molte voci: chi lo dice vittima di una foiba di Martinez, chi ucciso in un campo, chi in un altro … Comunque sia andata, il suo martirio si è realizzato in odium fidei.”

L'eccidio delle foibe e l'esodo
L’eccidio delle foibe e l’esodo

Le tragedie  del dopoguerra e i profughi di oggi

Impressionante scorrere le foto che documentano le sofferenze degli esuli e la tragedia delle foibe. Tanto orrore non può che far dire: basta guerre, basta violenze e vendette, eppure assistiamo oggi ad un rigurgito di sentimenti che pensavamo superati nei confronti in particolare riguardo agli immigrati.
“Il cercare di alimentare sentimenti di epurazione e di ostilità verso chi arriva, per esmpio, perché noi siamo in difficoltà con il lavoro con i nostri giovani – commenta ancora mons. Malnati – mi fa rievocare quello che scriveva “l’Unità” il 30 novembre del 1946 nei confronti dei profughi giuliani. Diceva che venivano a portare via il lavoro alla nostra gente. Mi pare di sentire anche oggi queste cose: molto sospetto viene buttato nei confronti di queste persone che scappano dalla guerra o dalla fame”.

Vedere in chi soffre l’Ecce Homo

Certamente  le autorità devono governare l’immigrazione, per favorire l’integrazione delle persone, “ma  il nostro cuore – conclude mons. Malnati –  deve essere aperto nei confronti di chi si trova nella sofferenza; è in lui che se noi siamo cristiani dobbiamo vedere il Cristo, l’Ecce Homo perseguitato e  beffeggiato! Se non facciamo così dobbiamo vergognarci di dirci cristiani”.

Fonte News.va – Adriana Masotti – Città del Vaticano

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